Maria Tartaglino

Asti: 17/09/1887 - 01/09/1944

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PER APPROFONDIRE

La pagina ha il fine di fornire informazioni storiche per dar modo al lettore di inquadrare i fatti e le vicende anche sotto l'aspetto storico/sociale.

Per avere maggiori informazioni sulle persone citate nelle pagine: Il processo Diocesano  e L'interrogatorio, si consiglia di visionare la Galleria Fotografica, dove sarà possibile trovare, oltre alle immagini, una breve biografia.

Indice


Papa Pio XI

Eletto al sommo pontificato il 10 febbraio 1922, aveva risposto al momento storico con il suo programma: "Pax Christi in Regno Christi", che significa Pace di Cristo nel Regno di Cristo.

A conclusione dell’anno Santo 1925, promulga l'enciclica:
"Quas Primas" (11/12/1925) sul tema della "Regalità di Cristo".
Il Pontefice istituì così la Solennità di Cristo Re.

Aveva chiamato le anime e i popoli a raccogliersi sotto la dolce regalità spirituale, eucaristica e sociale di Gesù.

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(Torino, 26/12/1844 – Savona, 30/05/1895)
Fondatore della Congregazione degli Oblati di San Giuseppe.

Biografia

Figlio di Vincenzo Marello - originario di San Martino Alfieri (AT)- e di Anna Maria Viale - di Venaria Reale (TO), nacque a Torino il 26 dicembre 1844 nella parrocchia del Corpus Domini, dove lo stesso giorno fu battezzato. All'età di tre anni rimase orfano di madre e a sette anni, con il padre e il fratello Vittorio, traslocò da Torino a San Martino Alfieri, dove frequentò le scuole elementari.

La vocazione

A 11 anni il padre e il piccolo Giuseppe, che aveva terminato le elementari, si recarono a Savona e visitarono il santuario della Madonna della Misericordia. Al ritorno dal viaggio Giuseppe comunicò al padre il desiderio di farsi sacerdote e il 31 ottobre 1856 entrò nel seminario diocesano di Asti. Nel giugno 1862, al termine degli studi di Filosofia lasciò il seminario e con il padre si trasferì a Torino dove intraprese gli studi con indirizzo tecnico-commerciale. Nel dicembre 1863, gravemente ammalato di tifo, riferì di avvertire l'invito della Madonna Consolata a ritornare in seminario, le chiese la grazia della guarigione e prontamente guarì. Nel febbraio 1864 ritornò nel seminario di Asti. Il periodo giovanile trascorso a Torino fu utile per la comprensione della società e delle idee del tempo e favorì la linea educativa e sociale che impresse alla sua attività di sacerdote e vescovo così come alla sua fondazione religiosa.

Sacerdote della diocesi di Asti

Il 19 settembre 1868 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Asti e dall'ottobre dello stesso anno il vescovo Carlo Savio lo volle come suo segretario. Nel novembre 1869 accompagnò il vescovo a Roma in occasione del Concilio Vaticano I, e il cardinale Gioacchino Pecci ebbe modo di apprezzarne le doti e le virtù. Alla fine di luglio 1870, per la definitiva sospensione del Concilio Vaticano I ritornò con il vescovo ad Asti. Ricoprì anche contemporaneamente vari incarichi: responsabile della buona stampa, direttore della Dottrina cristiana, direttore spirituale nel seminario dal 1880 al 1882 e nell'Istituto di Suore Milliavacca. Il 2 marzo 1880 fu nominato canonico della cattedrale, e il 5 luglio 1881, in seguito alla morte del vescovo Carlo Savio, fu nominato cancelliere vescovile capitolare e dal 30 giugno 1882 cancelliere vescovile per nomina del nuovo vescovo monsignor Giuseppe Ronco.

Sacerdote della diocesi di Asti

Il 19 settembre 1868 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Asti e dall'ottobre dello stesso anno il vescovo Carlo Savio lo volle come suo segretario. Nel novembre 1869 accompagnò il vescovo a Roma in occasione del Concilio Vaticano I, e il cardinale Gioacchino Pecci ebbe modo di apprezzarne le doti e le virtù. Alla fine di luglio 1870, per la definitiva sospensione del Concilio Vaticano I ritornò con il vescovo ad Asti. Ricoprì anche contemporaneamente vari incarichi: responsabile della buona stampa, direttore della Dottrina cristiana, direttore spirituale nel seminario dal 1880 al 1882 e nell'Istituto di Suore Milliavacca. Il 2 marzo 1880 fu nominato canonico della cattedrale, e il 5 luglio 1881, in seguito alla morte del vescovo Carlo Savio, fu nominato cancelliere vescovile capitolare e dal 30 giugno 1882 cancelliere vescovile per nomina del nuovo vescovo monsignor Giuseppe Ronco.

Fondazione degli Oblati di San Giuseppe

Negli ultimi mesi del 1872 fondò in Asti la Compagnia di San Giuseppe promotrice degli interessi di Gesù, di laici che si riunivano presso la Chiesa del Santissimo Nome di Gesù, con ruoli di apostolato e preghiera. Il  14 marzo 1878 fondò la Compagnia di San Giuseppe - detta poi Congregazione di San Giuseppe, Oblati di San Giuseppe o Giuseppini d'Asti - un gruppo di giovani a servizio di un orfanotrofio presso l'Opera Pia Michelerio , in fraterna vita comune formati a una spiritualità cristocentrica di consacrazione e umile operosità nell'imitazione di San Giuseppe, per farsi veri discepoli di Gesù Maestro. Le prime regole, scritte nel 1892 insieme a lui dai primi membri, definirono che la Congregazione di San Giuseppe "ha per scopo l'educazione cristiana della gioventù", i sacerdoti inoltre offrono aiuto in varie forme al clero locale, e attraverso la predicazione e la disponibilità.

Un santo sociale

6 ottobre 1882, per mandato del vescovo, insieme a don Giovanni Maria Sardi - futuro vescovo di Pinerolo - rilevò l'amministrazione dell'Ospizio dei Cronici fondato in Asti da Francesco Cerrato. Dall'ottobre 1885 visse nell'istituzione caritativa, trasferitasi nei locali dell'ex-convento di Santa Chiara, dove aprì anche una scuola media. A motivo delle opere da lui promosse nella città di Asti, per la sensibilità sociale da lui manifestata da sacerdote, fondatore e vescovo, è annoverato tra i Santi sociali dell'Ottocento piemontese. I santi sociali con cui ha avuto relazioni di amicizia furono:

1) Don Bosco, - si conserva il certificato con cui San Giovanni Bosco di suo pugno lo iscrive tra i cooperatori salesiani, amicizia poi continuata con la famiglia salesiana quando invitarono lui, novello vescovo, a presiedere a Torino il pontificale della messa il giorno di Maria Ausiliatrice, 24 maggio 1889 nella Basilica omonima -;

2) non San Giuseppe Benedetto Cottolengo che non gli era contemporaneo, ma il suo primo successore padre Luigi Anglesio, e il secondo successore padre Domenico Bosso verso il quale San Giuseppe Marello espresse venerazione e profondissima stima.

3) San Leonardo Murialdo: la nascente congregazione in Asti, mentre il fondatore era vivo, ebbe relazioni di conoscenza con il fondatore dei Giuseppini di Torino il quale annotò negli Scritti di aver visitato i Giuseppini di Asti, e : egli coltivò con il vescovo Savio un'amicizia filiale facendogli da segretario e una condivisione di interessi e ideali pastorali comuni, tra i quali - alcuni ritengono - la stessa fondazione degli Oblati di San Giuseppe.

Vescovo di Acqui Terme e morte

Il 17 febbraio 1889 nella chiesa dell'Immacolata in Via Veneto a Roma fu consacrato vescovo dal cardinale Raffaele Monaco La Valletta. Il 31 maggio 1889 inoltrò la prima lettera pastorale alla diocesi di Acqui, sulla pace. Il 16 giugno 1889 fece il suo ingresso ad Acqui.

Il 2 febbraio 1890 inviò la seconda lettera alla diocesi sull'imminente visita pastorale. Il 13 aprile dello stesso anno diede inizio alla visita alle 143 parrocchie della diocesi, che concluse nel 1895: in soli sei anni di episcopato riuscì a visitare tutti i paesi della sua vasta diocesi, alcuni dei quali molto difficili da raggiungere. Il 16 dicembre 1890 ricevette la laurea honoris causa in Sacra Teologia dal Collegio teologico di San Tommaso di Genova.

Del 13 gennaio 1891 la terza lettera pastorale sulla penitenza. Il 26 settembre 1891 partecipò a Roma al pellegrinaggio in occasione del III centenario della morte di San Luigi Gonzaga.

Del 4 febbraio 1892 la quarta lettera pastorale sull'istruzione e l'educazione in famiglia della gioventù. Dal 4 all'8 ottobre 1892 partecipò a Genova al decimo Congresso dei Cattolici Italiani.

Il 25 gennaio 1893 trasmise la quinta lettera pastorale sulla professione della fede e il rispetto umano. Dal 14 al 28 febbraio 1893 si recò a Roma in occasione del cinquantesimo di episcopato di Leone XIII e il 23 febbraio a Napoli al Santuario di Pompei.

Il 20 gennaio 1894 inviò la sesta lettera pastorale sul Catechismo. Dal 2 al 6 settembre dello stesso anno partecipò al secondo Congresso Eucaristico nazionale a Torino.

L'8 febbraio 1895 scrisse la settima lettera pastorale che ebbe per argomento Le missioni e la propagazione della fede. Il 26 maggio 1895 era a Savona, per invito dagli Scolopi, a presiedere i festeggiamenti in onore del terzo centenario della morte di San Filippo Neri. Il 27 maggio, nel Santuario di Nostra Signora della Misericordia a Savona celebrò la sua ultima messa. Il 30 maggio morì nell'episcopio di Savona. La sua scomparsa improvvisa e discreta, a 50 anni e 5 mesi di età, avvenne in un momento difficile e doloroso della sua vita, suscitato dalle sofferenze a motivo dell'incerto futuro degli Oblati di San Giuseppe, la famiglia religiosa da lui fondata.

È sepolto ad Asti in una cappella del Santuario di San Giuseppe, situato in pieno centro cittadino.

Canonizzazione

Morto in fama di santità, dovuta anche alle numerose testimonianze di grazie ottenute, dal 1924 furono avviati i processi informativi. Il 28 maggio 1948 fu introdotta la causa di beatificazione e il 12 giugno 1978, alla presenza di papa Paolo VI, veniva letto il decreto sull'eroicità delle virtù. Papa Giovanni Paolo II lo proclamò beato in Asti il 26 settembre 1993, come esempio e modello di carità verso tutti e d’instancabile e silenziosa operosità a favore dei giovani e degli abbandonati.

Con solenne decreto del 18 dicembre 2000, papa Giovanni Paolo II dichiarò:

" ... è stato accertato il miracolo operato da Dio per l'intercessione del Beato Giuseppe Marello, Vescovo di Acqui, Fondatore della Congregazione degli Oblati di San Giuseppe d'Asti: cioè, la guarigione improvvisa, completa e duratura dei fanciulli Alfredo e Isila Chávez León, ristabiliti entrambi nello stesso tempo da broncopolmonite con febbre alta, dispnea e cianosi in pazienti con denutrizione cronica".

Riconosciuto il miracolo, nel corso del concistoro ordinario del 2001 per la canonizzazione di alcuni beati, Giovanni Paolo II pronunciò la sua volontà: "Per l'autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, decretiamo che ...il Beato Giuseppe Marello... sia iscritto nell'Albo dei Santi il giorno 25 novembre 2001".

Da Santa Chiara a San giuseppe,"300 anni in poche righe"

Un po' di storia:

    la struttura sorge nel "Rione Santa Caterina" in pieno centro cittadino di Asti, l’intero isolato incluso fra le attuali Corso Alfieri, Via Asinari, Via Malabaila e Via Mazzini, costituiva l’ex Complesso del Monastero di Santa Chiara.
    Si componeva di elementi architettonicamente differenti essendo sorto in commistione con edifici preesistenti, tra cui il Palazzo Crivelli ed il Palazzo Roero Conti di Montafia e fu assegnato alle monache clarisse nell’anno 1706. Prima di tale data i vari corpi di fabbrica svolgevano funzioni diversificate.

Il blocco angolare fra Via Mazzini e Corso Alfieri fu un Teatro Politeama che nell’anno 1727, venne trasformato in Chiesa seguendo lo stile del tempo, ossia il barocco, su progetto del Sacerdote Mons.Alessandro Thea, Canonico della Cattedrale di Acqui Terme.

La sezione che si affaccia su Corso Alfieri, inizialmente accoglieva il Collegetto, le Scuole ed i primi Fratelli della Casa Madre degli Oblati di San Giuseppe Marello.

Il blocco angolare fra Via Asinari e Via Malabaila era l’ Ospizio dei Cronici (ex Palazzo Crivelli ) dove si sviluppò un’opera sociale di accoglienza per gli anziani, i bisognosi e gli orfani;

Il blocco angolare fra Via Mazzini e Via Malabaila fu sede dell’ Oratorio San Luigi, poi il primo Reparto degli Esploratori e successivamente le Scuole Professionali San Giuseppe, la Tipografia e le Arti Grafiche.

L’anno 1884 segna per l’antico ex monastero di Santa Chiara un tempo tutto particolare. Dopo che l’edificio venne riscattato il 4 giugno 1883 per conto dell’autorità ecclesiastica da quattro contitolari il canonico Bertagna, il canonico Sardi, il canonico Marello e don Bellino, si procedette alla sistemazione dell’immobile che per buona parte era ancora occupato da inquilini. Nel febbraio del 1884 nella ex chiesa trasformata in teatro si iniziò la catechesi quaresimale e l’istruzione dei giovani; il 30 maggio 1884 da parte dei canonici Gamba e Marello vennero trasportati i cronici che seguivano all’Ospizio Cerrato; nel mese di novembre vennero avviate le scuole e il colle getto e ci fu anche posto per accogliere i primi Oblati di San Giuseppe che avevano visto il loro sorgere al Michelerio nel marzo 1878 .

Ora sono centotrenta gli anni trascorsi in questa che è chiamata Casa Madre, ma che era conosciuta come Santa Chiara, l’Ospizio, dai Giuseppini e ha visto nel tempo il manifestarsi della Provvidenza attraverso opere di bene, l’accoglienza degli ultimi, la formazione dei ragazzi e dei giovani, la crescita di varie realtà avendo sempre come riferimento il grande modello san Giuseppe.

Fonte (URL del 26/08/2016):
rete comuni-italiani it wiki Asti Edifici_Religiosi Santuario_di_San_Giuseppe 
Sito ufficiale di San Giuseppe Marello. http://www.sangiuseppemarello.it  Da 130 anni in Santa Chiara

L'Istituto-Ospizio di Santa Chiara sarà la Casa madre dei Giuseppini

Un po' di storia

L’anno 1884 segna per l’antico ex monastero di Santa Chiara un tempo tutto particolare. Dopo che l’edificio venne riscattato il 4 giugno 1883 per conto dell’autorità ecclesiastica da quattro contitolari il canonico Bertagna, il canonico Sardi, il canonico Marello e don Bellino, si procedette alla sistemazione dell’immobile che per buona parte era ancora occupato da inquilini. Nel febbraio del 1884 nella ex chiesa trasformata in teatro si iniziò la catechesi quaresimale e l’istruzione dei giovani; il 30 maggio 1884 da parte dei canonici Gamba e Marello vennero trasportati i cronici che seguivano all’Ospizio Cerrato; nel mese di novembre vennero avviate le scuole e il colle getto e ci fu anche posto per accogliere i primi Oblati di San Giuseppe che avevano visto il loro sorgere al Michelerio nel marzo 1878.

Ora sono centotrenta gli anni trascorsi in questa che è chiamata Casa Madre, ma che era conosciuta come Santa Chiara, l’Ospizio, dai Giuseppini e ha visto nel tempo il manifestarsi della Provvidenza attraverso opere di bene, l’accoglienza degli ultimi, la formazione dei ragazzi e dei giovani, la crescita di varie realtà avendo sempre come riferimento il grande modello san Giuseppe.

Fonte: Sito ufficiale di San Giuseppe Marello. (URL del 26/08/2016)
http://www.sangiuseppemarello.it   Da 130 anni in Santa Chiara

Santuario di San Giuseppe
- Panoramica

Affacciato sulla centralissima Piazza Cairoli, quasi di fronte alla casa natale di Vittorio Alfieri, nacque nell’anno 1927 dalla trasformazione della Chiesa delle Monache di Santa Chiara, ormai in disuso (e dedicata ai Santi Vincenzo de’Paoli e Chiara, a partire dall’anno 1884, ed ancora prima a Sant’ Agnese).

 La dedicazione a San Giuseppe si deve al Beato Giuseppe Marello che, nei locali della Chiesa e dell’ex Monastero, fondò il suo ordine intitolato agli Oblati di San Giuseppe (detti Giuseppini d'Asti).

In stile neogotico, con influenze romanico-bizantine soprattutto all’interno, presenta la facciata, in mattoni rossi, con una monumentale statua di "San Giuseppe" (opera dello scultore gardenese Emilio Demetz) ed un’alta guglia centrale che culmina nel Campanile con 12 campane.

Le tre navate interne sono scandite da 16 colonne bicrome ed in una Cappella della navata di sinistra è presente la cripta dl Santo Giuseppe Marello, presso la quale pregò il Pontefice Giovanni Paolo II  in occasione della proclamazione della beatificazione del 26 settembre 1993.

SANTUARIO DI S.GIUSEPPE - PANORAMICA

FONTE: (www.rete.comuni.italiani.it) URL al 16/08/2016

rete comuni-italiani it wiki Asti Edifici_Religiosi Santuario_di_San_Giuseppe

Oblati di San Giuseppe

In latino: Congregatio Oblatorum S. Ioseph, Astae Pompejae è un istituto religioso maschile di diritto pontificio, è una congregazione clericale,
i membri sono detti popolarmente Giuseppini d'Asti,  pospongono al loro nome la sigla O.S.I. [Oblatorum S. Ioseph] [1]

Carisma e diffusione

Gli Oblati di San Giuseppe si dedicano al ministero parrocchiale, all'apostolato missionario, all'educazione dei giovani e alle opere della pastorale giovanile.[1] Sono presenti in Africa (Nigeria), in America (Bolivia, Brasile, El Salvador, Messico, Perù, Stati Uniti d'America), in Asia (Filippine, India), in Europa (Italia, Spagna, Polonia) e in Oceania (Australia)[4]. La sede internazionale, la Curia Generalizia è in via Boccea 364 a Roma nelle vicinanze della Chiesa parrocchiale di San Giuseppe all'Aurelio da loro officiata.[1]. La congregazione è distribuita in nove Province e due Delegazioni.

Essi animano un movimento internazionale, sia di giovani attraverso la Pastorale Giovanile Giuseppina Marelliana, sia di laici adulti appartenenti al Sodalizio Giuseppino Marelliano dei Laici (Sodalicium Laicorum Josephinum Marellianum). Con il Movimento Giuseppino, diretto da P. Tarcisio Stramare osi, la congregazione promuove a livello internazionale la conoscenza e il culto di San Giuseppe[5].

Al 31 dicembre 2008 la congregazione contava 100 case e 570 religiosi, 378 dei quali sacerdoti.[1]


Note

  1. a b c d Ann. Pont. 2010, p. 1454.
  2. a b c T. Stramare, DIP, vol. VI (1980), coll. 643-645.
  3. Tabella riassuntiva delle canonizzazioni avvenute nel corso del pontificato di Giovanni Paolo IIvatican.vaURL consultato il 26 aprile 2011.
  4. Oblati di San Giuseppe nel mondoosjcuria.orgURL consultato il 26 aprile 2011.
  5. ^ Sito del Movimento Giuseppinomovimentogiuseppino.wordpress.comURL consultato il 26 aprile 2011.

Bibliografia

  • Annuario Pontificio per l'anno 2010, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010. ISBN 978-88-209-8355-0.
  • Guerrino Pelliccia e Giancarlo Rocca (curr.), Dizionario degli Istituti di Perfezione (DIP), 10 voll., Edizioni paoline, Milano 1974-2003.
  • Oblati di San Giuseppe. Annuario 2011, Oblati San Giuseppe, Roma 2011, pp. 138.

    Fonte: https//it.wikipedia.org/wiki/Oblati_di_San_Giuseppe (URL del 25/08/2016

Il Maesto di Don Giuseppe Marello

La devozione a San Giuseppe ha conosciuto alti e bassi nella storia della Chiesa, ma non è mai mancato da parte del popolo cristiano l’affetto e la simpatia per il Santo Patriarca. Nel 1800, secolo in cui si svolge tutta la breve parabola della vita di San Giuseppe Marello, la devozione a San Giuseppe ebbe un forte incremento, testimoniato dalla diffusione delle pratiche devote in suo onore, delle chiese a lui dedicate, delle confraternite e delle famiglie religiose poste sotto la sua protezione, e infine dalla proclamazione pontificia del patrocinio di San Giuseppe su tutta la Chiesa. In questo clima di rinnovata devozione a San Giuseppe nasce e cresce il futuro Fondatore degli Oblati: al fonte battesimale riceve il nome del Santo Patriarca, nome già presente nella sua famiglia (il nonno paterno si chiamava Giuseppe e la nonna materna Giuseppina); fin dall'infanzia ne respira la devozione; nelle feste e ricorrenze a lui dedicate impara a conoscerlo e ad amarlo come il Santo più vicino a Gesù e a Maria. Tra i suoi propositi di seminarista leggiamo: "Nunc coepi, ora incomincio, mio Dio, mio Gesù, mia Madre (Maria), mio protettore Giuseppe, mio Angelo (custode) ..."
(Scritti, pg.19)

Il 19 marzo 1868, festa di San Giuseppe, inizia la recita dell’Ufficio Divino, in anticipo sull'obbligo canonico che cominciava con il Suddiaconato: egli lo riceverà dieci giorni dopo, il 28 dello stesso mese.
(cf. Lett. 35)

Nel marzo del 1869 scrive all'amico don Giuseppe Riccio: "Venerdì è S. Giuseppe... Ci ricorderemo nel S. Sacrificio che tutti e due abbian nome Giuseppe e che tutti e due domandiamo il patrocinio del nostro Grande Omonimo... O glorioso patriarca S. Giuseppe non ti scordar di noi che andiamo trascinando queste misere carni sulla dura terra d’esilio. Tu che dopo la Vergine benedetta primo stringesti al seno il Redentore Gesù, sii il nostro esemplare nel nostro ministero che, come il tuo, è ministero di relazione intima col Divin Verbo; Tu ci ammaestra, ci assisti, ci rendi degni membri della Sacra Famiglia".
(Lett. 35)

Il 17 marzo 1870, don Giuseppe Marello è a Roma col suo Vescovo per il Concilio Vaticano I e scrive allo stesso don Riccio: "All’antivigilia del nostro S. Patrono e in momenti in cui la devozione al Capo della Sacra Famiglia sta per toccare il suo più alto sviluppo grazie alle petizioni fatte dalla Cristianità ai Padri del Concilio Vaticano..., preghiamo tutti e due d’accordo nel giorno del nostro Grande Patriarca affinché cominciando ad esaltarlo noi nel nostro cuore ci rendiamo degni di vederlo esaltato prossimamente da tutta la Cristianità col titolo che gli si sta preparando di Patrono della Chiesa Universale... Viva S. Giuseppe coi suoi devoti."
(Lett. 62)

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Nove mesi dopo (8 dicembre 1870), Pio IX proclamava San Giuseppe Patrono della Chiesa Universale. 
Il 25 ottobre 1872 stende il primo abbozzo di una Compagnia secolare di S. Giuseppe promotrice degli interessi di Gesù, da istituirsi presso la Chiesa del Gesù in Asti; e scrive: "Ognuno dei Compagni di S. Giuseppe prende le proprie ispirazioni dal suo Modello S. Giuseppe, che fu il primo sulla terra a curare gli interessi di Gesù, esso che ce lo custodì infante e lo protesse fanciullo e gli fu in luogo di padre nei primi trent’anni della sua vita qui in terra... Sancte Joseph, Custos Jesu et Protector noster, accipe nos comites tuos in ministeriis quae in terris persolvere meruisti: O San Giuseppe, Custode di Gesù e nostro Protettore, accoglici come tuoi compagni nei ministeri che hai meritato di compiere sulla terra".
(Lett. 76)

Caduta l’idea della Compagnia secolare per la poca sensibilità dell’ambiente astigiano, Don Marello, ispirato da Dio, punta più in alto e pensa a una Compagnia religiosa di San Giuseppe capace di far rivivere in Asti la vita consacrata maschile quasi totalmente scomparsa dalla città; e la centrerà tutta attorno alla figura e alla missione del Custode del Redentore: "A chi... desideri di seguire dappresso il divin Maestro coll’osservanza dei Consigli Evangelici, è aperta la Casa di S. Giuseppe, dove, ritirandosi col proposito di permanervi, nascostamente e silenziosamente operoso, nell’imitazione di quel gran Modello di vita povera e oscura, avrà modo di farsi vero discepolo di Gesù Cristo."
(Lett. 95)

La nuova famiglia religiosa nasce il 14 marzo 1878, nei locali dell’Opera Pia Michelerio di Asti, nella povertà più completa: unico ornamento della stanza dove i primi Oblati si radunano è un’immagine di San Giuseppe senza cornice. Un anno dopo, il Fondatore sceglie il 19 marzo, festa di San Giuseppe, come giorno della prima vestizione religiosa dei suoi primi Oblati. Nel 1883 il Fondatore deve affrontare un problema importante: alcuni dei suoi Oblati (allora tutti Fratelli laici) chiedono di intraprendere gli studi per diventare sacerdoti. Dopo una novena a San Giuseppe, il Marello accoglie la domanda, interpretandola come un invito della Provvidenza. Nel maggio del 1885, il primo di questi candidati, Vincenzo Baratta, giunge alle soglie del sacerdozio; ma non sarà facile ottenere da Mons. Ronco, vescovo di Asti, il consenso alla sua ordinazione. Mentre gli Oblati, a turno, implorano in preghiera l’aiuto di San Giuseppe, il difficile consenso è concesso e don Baratta diventa il primo sacerdote Oblato, dopo don Cortona. Fatto Vescovo di Acqui, Mons. Marello celebra il suo primo Pontificale tra i suoi Oblati, in Santa Chiara: sceglie, per questo, il giorno di San Giuseppe (19 marzo 1889).

Il 16 settembre 1889, Mons. Marello accoglie con gioia e comunica con prontezza alla Diocesi l’Enciclica di Leone XIII sulla devozione a Maria Santissima e a San Giuseppe.
(cfr Scritti, pg 94)

Ottobre 1889: presso la portineria di Santa Chiara viene eretta un’edicola in onore di San Giuseppe, con la scritta "Ite ad Joseph".
(cf. Lett. 164 e 165)

Negli anni seguenti, la statua del Santo, opera dello scultore Minoia di Torino, viene portata in chiesa per tutto il mese di marzo.

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Nelle Prime Regole della Congregazione di San Giuseppe (1892), volute dal Fondatore e da lui personalmente riviste e corrette, al cap. I si legge: "Entrando uno a far parte della Congregazione di San Giuseppe, dovrà rinunziare al mondo e a se stesso per consacrarsi interamente a Dio con l’osservanza dei suoi santi Comandamenti e con la pratica dei Consigli Evangelici, per imitare così San Giuseppe che fu il primo modello della vita religiosa, avendo avuto egli continuamente sotto gli occhi quell’ esemplare Divino, che l’Eterno Padre per sua misericordia volle mandare al mondo perché insegnasse la via del cielo. La congregazione ha per Patrono SanGiuseppe, perciò i suoi membri sono chiamati Oblati di San Giuseppe e si fanno studio speciale di onorarlo e di amarlo come padre, imitandone le virtù e propagandone la devozione."
(Scritti, pg 133ss)

Il 29 giugno 1893 si inaugura solennemente la nuova Casa di Frinco d’Asti, la prima fuori di Santa Chiara. Sull’ingresso del castello viene posta una statua di San Giuseppe con la scritta: "Posuerunt me custodem: mi hanno posto come custode".
(cf. Lett. 249)

L’anno 1895 è l’anno della morte del Fondatore, ma segna anche il culmine di una dolorosa vertenza con la Piccola Casa di Torino per la proprietà di Santa Chiara in Asti. Gli Oblati, a un certo punto, pensano di ritirarsi tutti a Frinco, portandosi dietro la statua di San Giuseppe della portineria, che allora stava in chiesa per il mese di marzo. Da Acqui il Fondatore li dissuade dal loro progetto e li assicura: San Giuseppe ci ha messi negli imbrogli, Egli ci sbroglierà. Gli Oblati, rassicurati, riportano la statua nella sua edicola e sicuri della grazia richiesta offrono anticipatamente al Santo un cuore d’argento in ringraziamento. 

4 marzo 1895: nell’ultima lettera indirizzata agli Oblati prima della sua morte (che avverrà il 30 maggio), Mons. Marello raccomanda ancora una volta: 

"State tutti di buon animo sotto il paterno manto di San Giuseppe, luogo di sicurissimo "rifugio in tribulationibus et angustiis" [nelle tribolazioni e nelle angustie]."
(Lett. 278).

Fonte: Sito ufficiale di San Giuseppe Marello. (URL del 25/08/2016)
http://www.sangiuseppemarello.it   MAESTRO DEL NOSTRO FONDATORE

Spiritualita

San Giuseppe
Il sacerdote don Giuseppe, lo sceglie come esempio «... che come il tuo è ministero di intima unione col Divino Verbo». È poi nel suo programma: "A chi desidera seguire dappresso il Divin Maestro con l'osservanza dei consigli evangelici, è aperta la Casa di San Giuseppe dove, nell'imitazione di quel Grande Modello di vita povera e nascosta, avrà modo di farsi vero discepolo di Gesù Cristo".

Unione con Dio
Giuseppe Marello assume il programma di san Paolo: la vostra vita sia nascosta con Cristo in Dio. "L'unione con Dio deve essere quaggiù in terra il nostro unico lavoro come noviziato di quell'unione perfetta che si consumerà in cielo. Ogni altra cosa va subordinata a questa sola".

Mitezza
Lo sforzo costante lo conduce a essere umile, mite, sorridente con tutti, anche nelle situazioni più incresciose, senza mai parlare di sé. Ciò manifesta nell'espressione del volto, nella delicatezza del tratto e nella carità operosa. Mite e forte, conquista tutti. Fin dal suo ingresso in Acqui tutti sono ammirati dal suo sorriso. Clero e popolo ammettono unanimi: "Abbiamo un vescovo santo!".

Laboriosità
Da giovane scrive: "Operosità mi occorre, operosità". Più tardi dirà parlando del lavoro apostolico: "Lavoriamo, lavoriamo tutti nel modo e con quella intensità che Dio vuole». Di una tenacia singolare, che senza mostrarsi affannosa non perde un minuto di tempo, opera con molta tranquillità e costanza. «Il rumore non fa bene, il bene non fa rumore".

Volontà di Dio
Suo programma di vita, fin da giovane, è "cercare e attuare la volontà di Dio, convinto che la nostra santificazione consiste nell'adempiere la volontà di Dio". Assalito dalle prove dice: "Come Maria e Giuseppe nella casetta di Nazareth stiamo abbandonati al volere di Dio in tutto ciò che Egli dispone". E al Signore si affida nella tremenda prova che minaccia la sua congregazione, per la quale offre la sua vita.

Disponibilità
Testimonia monsignor G. Pagella, suo vicario generale: "Non vi è angolo della diocesi dove egli non abbia lasciato con orma profonda la cara immagine e l'odore soave delle sue virtù. Non sudori, non intemperie, non disagi erano computati da lui, né valsero mai a rallentare la brama di trovarsi tra i suoi figli. La sua carità era tanto grande che riceveva tutti e a tutte le ore. Non mi sono mai accorto che avesse un orario per le udienze".

Fonte: Sito ufficiale di San Giuseppe Marello. (URL del 25/08/2016)
http://www.sangiuseppemarello.it   LA SPIRITUALITA'


Istituto Milliavacca di Asti

Premessa

Alcune analisi storiche condotte sul territorio della città  di Asti hanno messo in luce l'esistenza di una serie di strutture volte alla salvaguardia delle ragazze e delle bambine povere o abbandonate. Questi istituti, sorti soprattutto alla fine del Settecento, erano rivolte ad un'utenza unicamente femminile perché essa era ritenuta la fascia più a rischio della società: alla povertà  di mezzi di sussistenza si univa quella considerata tale in quanto intrinseca all'essere donna.

Si può valutare che nel corso del XIX secolo gli istituti previsti per la tutela delle giovani abbiano ospitato ogni anno una media di 150-200 ragazze, escluse le esterne che vi si recavano solo per ricevere gli insegnamenti di tipo scolastico. L'ingresso in queste strutture, concentrate soprattutto nella città  di Asti, era regolato da una serie di rigide norme. Indispensabile era il possesso di un certificato che attestasse il battesimo, la nascita nei luoghi previsti dai fondatori, la buona costituzione fisica e mentale, addirittura la condizione di orfana, abbandonata o povera. Se alcuni degli istituti sorti per la custodia delle ragazze richiedevano anche un corrispettivo in danaro per consentire l'ingresso, come l'Opera pia Isnardi e l'orfanotrofio, tutti però erano accomunati dalla disposizione imprescindibile che voleva le giovani internate portatrici di un patrimonio soprattutto morale. L'importanza di tale caratteristica e la necessità  di preservarla nel tempo si evince anche dalle regole interne a queste strutture, dalla rigida disciplina e dai controlli severi che le caratterizzavano.

Le realtà  fondate per la custodia delle giovani, i veri e propri internamenti che esse praticavano, sembrano fornire un esempio calzante di istituzioni totali.

Asti: Opera pia Milliavacca

L'Opera pia Milliavacca era un caso esemplare in tal senso: un alto muro impediva la vista dell'esterno; i contatti delle giovani con il resto del mondo erano ridotti all'essenziale, il personale poteva anche stabilire di vietare le visite dei parenti se ritenute "inutili"; il lavoro che le ragazze svolgevano per incrementare le entrate dell'istituto si alternava quasi esclusivamente alla preghiera; erano ammessi solo libri di lettura approvati dal padre confessore ed erano bandite le conversazioni frivole o inerenti la realtà  presente al di fuori dell'edificio; le giovani potevano uscire solo per la messa nella Cattedrale nei giorni di festa; nessuna ragazza era mai lasciata sola con il confessore e i rimproveri della matrona dovevano essere accolti con remissività . L'educazione impartita prevedeva, quindi, che alla verginità  del corpo corrispondessero caratteri di serietà, prudenza, riservatezza, gratitudine e sottomissione.

Dall'Opera pia Milliavacca le dimissioni per monacazione o per matrimonio si fecero sempre più scarse, mentre aumentarono le uscite per insubordinazione o incompatibilità  alle regole, testimonianza di un'insofferenza difficile da contenere. La necessità  di proteggere le convittrici dai contatti con il mondo giungeva sino alla sfera della salute: tutti gli istituti possedevano medici e infermiere interni per evitare di trasportare altrove le ragazze malate.

Gli insegnamenti impartiti all'interno delle strutture di tutela riguardavano sostanzialmente il lavoro domestico, quella sfera di attività  considerate tipicamente femminili che rivestivano un ruolo importante all'interno del mercato matrimoniale. La dipendenza economica delle donne e la loro destinazione al matrimonio, infatti, all'epoca non erano oggetto di contestazione. Il mondo del lavoro avrebbe offerto opportunità  diverse solo a fine Ottocento, in precedenza le operaie, occupate principalmente nel settore tessile, avevano soprattutto la necessità  di superare gli estenuanti turni di lavoro cui erano sottoposte, una situazione in cui tornavano utili le doti di rassegnazione, obbedienza e resistenza imparate negli istituti.

Solo nella seconda metà  del XIX secolo l'istruzione divenne un elemento cardine della politica attuata dai diversi Consigli comunali di Asti. Sebbene avesse un ruolo secondario, anche in termini di affluenza, la preparazione scolastica femminile non venne trascurata.

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Essa era inizialmente condotta unicamente a livello elementare, le Scuole Magistrali, infatti, che col tempo avrebbero fornito nuovi sbocchi lavorativi alle donne, vennero istituite solo nel 1894. Un personaggio che influenzò profondamente l'assistenzialismo ottocentesco piemontese fu il padre barnabita Antonio Tellini. L'istituto di tutela per ragazze da lui creato in Asti si distinse dagli altri esistenti all'epoca perché nacque al fine di accogliere solo le bambine abbandonate. Le convittrici ammesse, che non superavano i 12 anni di età  e che dovevano aver mantenute intatte le doti morali cui si è precedentemente accennato, ricevevano un'educazione religiosa e contribuivano con il loro lavoro ad aumentare le entrate della struttura.

Un altro istituto astigiano che si caratterizzava per la peculiarità  dell'assistenza offerta era l'Opera pia Buon Pastore. La struttura aveva una duplice funzione: da un lato di prevenzione per le donne cosiddette "pericolanti", dall'altro di occultamento per le "pericolate". La tutela e l'educazione elargite nel primo caso, ovvero nei riguardi delle ragazze che potevano essere facile preda del mondo della prostituzione, non erano differenti da quelle proposte negli altri istituti educativi di Asti, e, similmente ad essi, anche all'Opera pia Buon Pastore era necessario fornire un certificato che attestasse le condizioni di povera o di orfana e, per le convittrici, anche le "buone qualità  morali".

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Nella struttura era presente una rigida separazione tra educande e pericolate, si trattava di un provvedimento protettivo per entrambe: le prime erano consce del rischio cui potevano incorrere, alle altre era in tal modo concesso di nascondere quella che all'epoca era considerata una colpa.

L'Opera pia Buon Pastore aveva compreso che la povertà  poteva essere tra le cause delle maternità  illegittime, quindi aveva preposto che le pericolate non versassero alcun contributo né per il loro sostentamento né per il modesto corredo che veniva fornito al neonato.

A partire dagli anni Settanta dell'Ottocento all'interno dell'edificio aumentò sensibilmente il numero delle ragazze madri rispetto alle convittrici. In quel periodo di profonda crisi economica e agraria il numero delle pericolate paganti fu più alto di quelle gratuite, queste donne crearono una nicchia di utenti particolare, facenti parte di un ceto piccolo e medio borghese che poteva permettersi l'affitto di una camera. L'arrivo del nuovo secolo porterà  con sé alcuni cambiamenti: non solo le pericolanti videro nuovamente aumentare il loro numero, ma l'Opera pia venne aperta anche alle madri di famiglia in condizioni disagiate. Questa innovazione ebbe un risvolto sociale importante perché causò un calo dell'esposizione e di reati come l'aborto e l'infanticidio. Il Buon Pastore, infatti, aiutava le madri povere a partorire e a prestare le prime cure al neonato, nel caso in cui queste donne non fossero state in grado di provvedere al bambino, l'abbandono era istituzionalmente controllato perché il piccolo sarebbe stato inviato all'Ospizio degli esposti di Asti.

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La permanenza dei bambini all'interno di tale tipo di strutture poteva allungare la loro speranza di vita ma non ne assicurava affatto la sopravvivenza: a metà  Ottocento l'indice di mortalità  nei luoghi di assistenza per neonati abbandonati superò il 50%. Le cause del fenomeno venivano individuate nella condizione di salute della madre antecedente la nascita: appariva chiaro che donne stremate dal lavoro e indebolite dalla malnutrizione non potessero dare alla luce figli sani. Tuttavia anche la scarsità  di mezzi somministrati dai ricoveri, i locali sovente malsani e sovraffollati, erano concause altrettanto decisive nel determinare un tasso di mortalità  cosà elevato.

Prima del collocamento a balia i neonati erano affidati alle cure di nutrici interne quasi sempre povere e di gran lunga inferiori rispetto al numero di bambini che avrebbero dovuto assistere. Il latte che essi ricevevano era quindi poco, di scarsa qualità, e quand'anche fosse stato somministrato latte di capra o di mucca questo non era tollerato da tutti. Il corredino che i bambini ricevevano alla nascita, inoltre, era troppo spesso appena sufficiente per provvedere alla loro pulizia e per superare i rigori dell'inverno. Quest'insieme di fattori, uniti alla salute malferma che i neonati ereditavano alla nascita, erano la causa del diffondersi di malattie che mietevano numerose vittime.


Nel 1915 l'assistenza all'infanzia di Asti ricevette un impulso significativo grazie alla cessione dei patrimoni delle Opere pie dotali. Queste istituzioni, che si occupavano di fornire una dote alle ragazze disagiate, cessarono di esistere a inizio Novecento. Con la guerra, infatti, le donne erano entrate con forza nel mondo del lavoro per sostituire i loro mariti, padri, fratelli impegnati al fronte. Esse erano ormai in grado di provvedere in modo autonomo a quel corredo che in passato, in taluni casi, era fornito dai sussidi dotali.

Fonte: www.museoartiemestieri.it (URL al 26/08/2016)


La fondazione del Palazzo del Michelerio risale al 1524, per volontà della nobile famiglia astigiana dei Guttuari, su progetto di Vincenzo Seregno, ingegnere della Fabbrica del Duomo di Milano. Negli anni successivi, nobili devoti del monastero arricchirono l'edificio.

In particolare il canonico della cattedrale Alfonso Asinari, nel 1612, per disposizione testamentaria, commissionò le pitture della cappella della chiesa dedicata alla Natività di Nostro Signore.

Nella seconda metà del settecento l'edificio fu ulteriormente ampliato ad opera dell'architetto Giovanni Maria Molino, ma senza alterare le forme cinquecentesche del cortile e del loggiato. Quest'ultimo, a due ordini di arcate compartite da pilastri, è considerato, insieme al chiostro dei canonici Lateranensi di Santa Maria Nuova, il capolavoro dell'architettura del Cinquecento ad Asti.

Nel 1802, in seguito alla soppressione dei monasteri imposta dalle autorità francesi occupanti, il complesso passò al Demanio Nazionale.

L'Opera Pia

Era un istituto il cui scopo era di  accogliere ed ospitare gli orfani di Asti e del suo circondario, allevarli cristianamente ed insegnare loro un mestiere.

Acquistato dal canonico Cerruti grazie alla beneficenza di Clara Michelerio, dal 1862 diventò sede dell'Opera Pia Michelerio. L'Opera Pia Michelerio cessò l'attività nel 1971.

Per molti Astigiani, l'edificio ha una forte attrattiva affettiva ed emotiva. e' un "luogo del cuore", intensamente segnato dal ricordo delle sue vicende e dei suoi ospiti.

Fonte:artbonus.gov.it/116-29-museo-paleontologico-territoriale-dellastigiano html (URL del 25/08/2016)

©   MAST - DOPPIO CLIC

Quel cortile, dove 80 anni fa durante le ricreazioni stuoli di ragazzi rincorrevano un pallone, dopo lungo abbandono è stato recuperato e da qualche anno è tornato ad animarsi, specialmente durante le manifestazioni del settembre astigiano. Il grande spazio quadrato è al centro del vasto complesso di edifici compreso tra corso Alfieri, via Caracciolo, via Carducci e via Varrone che costituì il Monastero del Gesù, sorto nel 1540 ed in funzione fino alla soppressione napoleonica del 1802.

Dalla sua chiusura restò più o meno abbandonato per molti anni, finchè nel 1861 venne acquistato da Clara Michelerio, che vi fondò l’omonima opera pia per l’educazione dei ragazzi, per lo più trovatelli o abbandonati, e per insegnare loro un mestiere.

Centinaia di giovani in umili condizioni trovarono accoglienza al Michelerio ed affrontarono poi la vita come tipografi, legatori, sarti, calzolai o falegnami. L’Opera Pia Michelerio chiuse circa 40 anni fa e solo molto più tardi iniziò il recupero architettonico degli edifici. Nel 1992 il complesso fu acquistato dall’Agenzia Territoriale della Casa che lo ristrutturò e che nel 2001 vi trasferì, nell’ala di via Carducci, i suoi uffici da corso Einaudi.

Nel 2004, su progetto dell’ing. Ubaldo Sabbioni dell’ATC, ebbe nuova ed elegante vita anche quel vecchio cortile del Michelerio, che ora viene utilizzato soprattutto nel mese di settembre per convegni, mostre e concerti.
Attualmente, nei locali rimessi a nuovo trovano posto studi, uffici e sedi di enti.

Fonte:comuninrete.at.it/Web-comuni-new/sitiComuni/MAST_file/mastmappa/84 html (URL del 25/08/2016)


APPROFONDIMENTO: Opera Pia Michelerio

1) Inquadramento urbanistico e cenni storici

Tratto da: RELAZIONE ILLUSTRATIVA, Progetto Michelerio - Comune di Asti

Inquadramento urbanistico-descrizione sommaria del complesso edificato
Il complesso immobiliare dell’Opera Pia “Michelerio” sorge su un’area della superficie di 6335 metri quadrati nella zona nord-occidentale della Città di Asti, entro l’antico “recinto dei nobili” delle mura medioevali della cittadina.
Il complesso occupa un intero isolato racchiuso a nord da Via Carducci, ad est da P.za Cairoli e da Via Caracciolo, a sud da Corso Alfieri e ad ovest da Via Varrone.

Il perimetro del piano particolareggiato approvato nel 1993 si estende a tutta la piazza fratelli Cairoli e alle mezzerie stradali del corso Alfieri, della via Varrone, della via Carducci e della Via Caracciolo, così che la superficie dell’area interessata dallo strumento urbanistico esecutivo risulta essere di mq. 9647,24 come dal rilievo topografico allegato alla documentazione originale del piano.
I fabbricati di maggior pregio e rilievo storico-architettonico che formano il complesso sono:

  • Il corpo di fabbrica principale a due piani fuori terra, di impianto cinquecentesco, che racchiude il grande cortile quadrangolare interno e che si attesta a nord al corpo della primitiva chiesa del Gesù.
  • La cinquecentesca Chiesa del Gesù, facente parte del Convento delle Clarisse Osservanti, con la sobria facciata delle linee rinascimentali ed arricchita da affreschi settecenteschi; trasformata in parte nell’ottocento per esigenze dell’Opera Pia.
    La chiesa è separata in due parti distinte, divise dall’altare doppio, a levante vi era la zona della clausura, a ponente, la zona aperta al pubblico articolata su quattro cappelle due “in cornu epistolae”, e due “in cornu evangeli”.
  • Lo stabile a tre piani fuori terra che si eleva con la facciata a nord su Via Carducci e risvolta verso Via Caracciolo con il proprio fronte est di recente restaurato e destinato a civile abitazione.
  • Un insieme di fabbricati, parte a due e parte a tre piani concludono l’isolato ad ovest lungo la Via Varrone formando un cortile davanti alla facciata della Chiesa del Gesù ed uno a lato del corpo centrale anch’essi di recente restaurati e destinati a civile abitazione e a sede dell’agenzia territoriale per la casa di Asti.
    L’accesso principale e l’ingresso di rappresentanza a tutto il complesso si hanno da Corso Alfieri, mentre l’accesso carraio principale è posto su Via Varrone ad ovest.
    La piazza fratelli Cairoli, realizzata nei primi anni del secolo scorso perimetrando con un alto muro modanato una superficie semicircolare è stata ricavata per larga parte dagli orti e giardini del Michelerio ed è compresa nel perimetro del piano particolareggiato; ad essa il PRG vigente attribuisce funzione di area per la viabilità e il parcheggio.

2) Note storiche sulla genesi e sulle aree limitrofe.

Il complesso dell’Opera Pia Michelerio nasce nella prima metà del ‘500 come monastero del Gesù, sede dell’Ordine delle Monache Osservanti del Gesù, dette poi Urbaniste. 
L’esigenza di erigere un nuovo complesso si manifestò come una necessità conseguente all’avvicendamento di più ordini religiosi nei vari monasteri esistenti al tempo, del decadimento fisico di taluni di questi edifici religiosi nonché dei mutamenti che la struttura urbana andò assumendo in quegli anni.

Il convento benedettino di San Marco, che sorgeva sul sedime dell’odierno Santuario della Madonna del Portone, inizialmente venne gestito dall’Ordine dei Benedettini Crocefissi, quindi attribuito alle Clarisse Osservanti che lo occuparono dal 1526 sino al 1539, in comunione con le monache Clarisse Conventuali di Santa Caterina dal 1532.

Causa le condizioni di profondo degrado in cui versavano i fabbricati componenti il complesso di San Marco ed ancor più la forte necessità di dar opera a nuove strutture di tipo militare a rafforzare la cinta muraria, si decise per la demolizione del vetusto monastero e per la costruzione di un nuovo edificio atto ad ospitare l’ordine religioso. 

Nel 1540 venne dato inizio alla fabbrica e nel 1549, sul sedime di edifici preesistenti abbattuti, si prese a costruire la Chiesa in testata del complesso religioso.
Sappiamo da fonte certa che la Direzione dei lavori fu affidata ad un certo Pedro Del Ferro, capomastro, su progetto dell’ingegnere U. Seregno al tempo impegnato alla fabbrica di Milano.

Nel 1558 i lavori vennero portati a termine ma soltanto quaranta anni più tardi, nel 1589, la chiesa, dedicata al S.S. Nome di Gesù fu consacrata.
Il monastero godette di relativa prosperità per tutto il XVII secolo ed oltre e conobbe anche presenze illustri tra cui va annoverata la principessa Caterina di Savoia, figlia del Duca Filiberto, che entrò monaca nel 1625 e qui visse per venti anni. 

Il complesso conventuale così come conformato nelle sue parti funzionali e nella sua organizzazione interna ci viene consegnato dalla rappresentazione della città di Asti del Theatrum Sabaudiae redatta dall’abate Tesauro nel 1682. 

Nel 1725 il pittore astigiano Giancarlo Aliberti venne chiamato ad affrescare la volta della chiesa del S.S. Nome di Gesù ove dipinse un pregevole Paradiso.
La stessa chiesa nel 1755 fu ancora abbellita da un coro ligneo donato dall’Abbazia di Solaro di Breglio.

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Nel 1767 ebbe inizio la prima ristrutturazione del complesso, forse la più significativa, quella che nelle forme e nei caratteri principali ci consegna immutata l’immagine delle masse edilizie così aggregate.
Il progetto di ristrutturazione ed ampliamento, forse di Benedetto Alfieri, fu condotto inizialmente da Giovanni Maria Molino sulla traccia del ben più illustre architetto.
Nelle intenzioni del progettista, il complesso edilizio risultava essere distribuito intorno ad un nucleo centrale chiuso da quattro bracci porticati prospettanti un cortile interno a guisa di chiostro.
La manica nord era costituita dal corpo di fabbrica della chiesa e da due aule; la porzione orientale del lotto, a sua volta suddivisa da un porticato passante, era destinata ad orti e giardini quintati a settentrione da un edificio risvoltante. 
L’area a ponente era invece occupata dai fabbricati accessori e da abitazioni a loro volta così suddivisi:

Un nucleo di fabbricati chiuso verso l’esterno, occupato dalle monache di clausura, che si articolava intorno ad un cortile porticato con rustici ospitanti le attività di servizio e di mantenimento; un altro gruppo di fabbricati, formato dalle abitazioni degli inservienti e del confessore, possedeva un proprio ingresso autonomo dall’esterno e si caratterizzava per un cortiletto porticato antistante la chiesa aperta al pubblico. 
I lavori iniziati nel 1767 riguardarono proprio la costruzione delle maniche destinate ai rustici del lato occidentale del complesso.

Si richiese allora una regolarizzazione del lotto che comportava un allargamento dell’innesto sulla Via Maestra (c.so Alfieri) con la strada in direzione del Duomo.
Le modifiche furono approvate con Patente Regia del 14 ottobre 1768.

Nel Settembre del 1802, in seguito alla soppressione dei monasteri imposta dalle autorità francesi occupanti, il complesso passò alla proprietà del Demanio Nazionale.

La valutazione degli immobili delle Monache del Gesù effettuata in quel periodo dal governo Francese, ammontava a L.84.216. Per avere un termine di paragone del valore attribuito al Complesso, basti pensare che nello stesso periodo la Colleggiata di S. Secondo fu stimata L.84.000.

Nel corso del XIX Secolo il Complesso venne destinato a molteplici utilizzi tra cui vale la pena di ricordare nel 1809 l’insediamento dell’Ospizio delle figlie povere, che alloggiava Suore di parecchi ordini e che divenne poi Ospizio di Mendicità. 

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Nel 1817 il Complesso venne fatto sgomberare per adibirlo a Ospedale Militare e dieci anni più tardi vi tornarono i Frati Minori Osservanti preposti alla conduzione di un orfanotrofio per i figli dei militari invalidi e dei veterani di guerra.
Tra gli interventi che si resero necessari per adattare la struttura del Complesso alle esigenze dei nuovi utilizzi, il più rilevante fu la realizzazione nel 1852 di nuove solette intermedie all’interno dell’edificio della chiesa per aumentare la superficie disponibile per i dormitori.

Nel 1870 venne aperta dalla Società anonima per la vendita dei Beni del Regno l’asta per la Vendita del Complesso che venne aggiudicata al Can. Cerruti; questi trasferì il suo pio Istituto, che poi divenne Opera Pia Michelerio, nei locali del “Quartiere del Gesù” composto di sette corpi di fabbrica con cortili e portici, acquistato all’asta nel 1870.

Il complesso del” Michelerio” trae infatti la propria denominazione dalla benefattrice dell’Opera Pia, Clara Michelerio, che agli inizi del 1860 aveva acquistato una casa nel quartiere di Via San Brunone al Varrone e, con l’assistenza del Canonico Cerruti, aveva iniziato la sua attività assistenziale rivolta ad accogliere, ospitare ed educare i giovani orfani della Città di Asti e del circondario.

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Nel periodo fino al 1890 furono condotti importanti lavori di manutenzione e di ricostruzione, senza però alterare i caratteri tipologici fondamentali del complesso. 

Nei primi anni del Novecento vennero realizzati interventi di trasformazione dell’area con la realizzazione della attuale piazza Cairoli, che fu eseguita nel corso dell’anno 1901 ed implicò l’occupazione di una porzione dell’area di proprietà dell’opera Pia; nel 1905 viene costruita una nuova porzione di fabbricato residenziale su via Caracciolo.

Negli anni tra il 1920 e il 1930 vengono effettuati interventi di una certa consistenza come il radicale restauro della facciata principale su Corso Alfieri, nel 1925, e la costruzione del corpo di fabbrica su via Varrone. 

Nel 1927 viene realizzato il fabbricato angolare tra corso Alfieri e via Varrone, sorto come scuola di panificazione per opera di un benefattore dell’Istituto. 

Nel 1933, al posto dell’antico coro della chiesa del Gesù si costruisce un teatrino.
L’Opera Pia Michelerio cessò l’attività in Asti nel 1971, e fino ad allora vennero eseguite regolarmente le necessarie opere di manutenzione.
In seguito l’edificio è stato occupato fino alla fine degli anni “80, da diverse piccole attività, prevalentemente a carattere artigianale e commerciale e da sedi di associazioni e gruppi di animazione culturale. 

Il complesso veniva ceduto all’inizio degli anni “90 dall’ opera Pia Michelerio, disciolta, allo I.A.C.P.,ora Agenzia Territoriale per la Casa di Asti che promuoveva la redazione di un piano particolareggiato da parte del comune di Asti, volto al riuso dell’intero complesso, ormai in condizioni di abbandono e di accelerato degrado.

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Per iniziativa dello I.A.C.P. di Asti alla fine degli anni “90 venivano recuperate con destinazione residenziale, nell’ambito del piano particolareggiato nel frattempo approvato nel 1993, gli edifici posti all’angolo tra la via Caracciolo e la via Carducci e un edificio posto sul fronte della via Varrone; successivamente l’ATC di Asti ristrutturava il corpo di fabbrica posto all’angolo tra la via Carducci e la Via Varrone, in adiacenza alla Chiesa del Gesù destinandolo a sede dei suoi uffici.

Per contrastare l’incipiente degrado della restante parte della struttura ed in particolare della Chiesa del Gesù e dei corpi di fabbrica del quadriportico centrale la proprietà ha avviato, da circa un anno, una serie di interventi di manutenzione straordinaria che, senza incidere sulle destinazioni previste o da prevedere e senza alterare l’assetto strutturale e distributivo del complesso, sono finalizzati alla conservazione degli immobili e al ripristino di condizioni minime di decoro.

3) Riferimenti documentali sulla genesi del complesso

La documentazione più antica, che permette di leggere, con una certa chiarezza, la distribuzione dei diversi nuclei di edifici che formano l’antico monastero delle Monache Chiarisse sotto il Titolo di Gesù, divenuto poi Opera Pia Michelerio, consiste nella mappa del 1767, (AST,Camerale Piemonte,Tipi annessi alle Patenti, sec. XVIII, n.16)che ne indica la ristrutturazione e l’inglobamento funzionale degli edifici rustici.

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L’attenzione di Micaela Viglino Davico, nel saggio” L’assetto urbanistico di Asti nel XVIII secolo”, in “Benedetto Alfieri, l’opera astigiana”, si sofferma sopratutto sugli aspetti delle modificazioni delle realtà esistenti in relazione allo sviluppo della città, dandone peraltro una interessante descrizione illuminante circa la logica con la quale la struttura era stata organizzata:
“Il complesso edilizio risultava strutturato intorno ad un nucleo centrale chiuso da quattro bracci di fabbrica prospettanti verso l’interno su uno spazio a giardino con portico perimetrale; la manica a nord era costituita dalla chiesa a due aule, per le monache in clausura e per i fruitori esterni. La fascia orientale del lotto edilizio risultava occupata da un grande Giardino Potaggiato suddiviso in due settori da un portico passante e chiuso a nord da una manica edilizia ad L’area a ponente, rispetto al corpo principale del monastero, era sede di fabbricati di servizio, articolata in due zone; in quelle di clausura, intorno al cortile rustico principale porticato ed altre corti minori si articolavano i locali di deposito, il forno, le scuderie, la stanza per l’imbianchimento della lingeria; nella zona dei rustici, con accesso esterno erano localizzate le abitazioni per le inservienti, il pozzo, gli accessi alle camere del confessore, un cortile porticato antistante la chiesa aperta al pubblico.

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I lavori di ristrutturazione del 1767 riguardano la ricostruzione delle maniche rustiche sul confine occidentale dell’isolato che, a tale data, risultano in corso di edificazione nella parte non soggetta a clausura.

Il progetto generale, datato Asti, 15 settembre 1767, è sottoscritto dall’architetto e misuratore G.Ma. Molino. Ha come titolo: Configurazione regolare e dimostrativa della Pianta o Piano attuale del Venerando Monastero del Gesù di questa città, le contrade che quello circondano, il sito che si desidera occupare, e quello che si cederebbe dal detto Monastero, ad uso pubblico in corrispettivo del suddetto, formato esso Piano da me Architetto sottoscritto a richiesta della Revd.ma Donna M.a Cristina Rovero San Severino Abbadessa di detto Monastero. Sta in AST, Camerale Piemonte, Patenti Controllo Finanze, Reg.47, fg. 95. Una copia del disegno, datata Torino, 6 ottobre 1767 è firmata Ant. o Vitt. o Gallo Arch. o e Mis.re; sta in Ast, Camerale Piemonte, Tipi annessi alle Patenti sec. XVIII, n 16.

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Nelle “Carte Sotteri” esiste un’altra copia del progetto del Molino recante la data del sett. 1767: “Pianta dimostrativa .... piano attuale del venerando Monastero del Gesù di questa città di Asti, contrade che quello circondano, il sito che si desidera occupare e quello che si cederebbe dal detto Monastero ad uso pubblico del corrispettivo del sud. – formato esso Piano da me architetto sottoscritto a richiesta della Rev. da Madre Donna Maria Cristina Rovero Sanseverino Abadessa di detto Monastero.”

Da quando detto dalla Viglino e da una ulteriore analisi delle mappe citate, già conosciute da P. Giacinto Burroni O.F.M e pubblicate nel suo testo:

I FRANCESCANI AD ASTI, edito nel 1938 dalla tipografia del Michelerio stesso, appare chiaro come la situazione precedente il 1767, in corrispondenza dei lotti 1 e 2, comportasse l’esistenza di edifici rustici di servizio al monastero stesso, ma non strettamente connessi con percorsi funzionali, come appare dal progetto citato.

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Il Burroni aggiunge che dalle “Carte Sotteri” si deduce che il progetto fu eseguito in parte nel 1767, più tardi per intero, per ponente e settentrione, su di un nuovo progetto più consono al Monastero ed alla città.

FONTE: www.comune.asti.it

Clicca per scaricare: Progetto Michelerio - Comune di Asti [formato *.shtml]

(URL del 26/08/2016)



Don Placido Botti

Nacque ad Asti, il 6 marzo del 1885, ordinato Sacerdote nel 1908, dal Vescovo di Asti,  Mons.Giacinto Arcangeli.

Appartenente alla Congregazione del Sacerdoti di Costigliole, il suo ministero iniziò nel 1908 come viceparroco a Santa Caterina (AT), fino al 1919.

Nel 1914, venne presentato a Maria Tartaglino, da Don Medico Cortona, di cui divenne Confessore e direttore Spirituale [fino al 1936].

Nel 1919  fu trasferito a Rocca d'Arazzo (AT) come  Vicario Foraneo e  Arciprete  fino al 1955.

Maria Tartaglino mantenne i contatti in modo epistolare, scrisse circa 450 lettere, nelle quali confidava gli eventi della sua vita e chiedeva aiuto e indicazioni.

Nel 1944, confessò, in punto di morte la Tartaglino, ricevendone il commosso ringraziamento per essere tornato da lei, dopo una allontanamento di otto anni, avvenuto per motivi indipendenti dalla loro volontà.

Nel 1955 dovette rinunciare, per motivi di salute, alla Parrocchia, per ritirarsi nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, conosciuta anche con il nome di Cottolengo, svolgendo la sua opera sacerdotale a Pinerolo poi a a St. Vincent (AO)

Per problemi di salute, rientra a Pinerolo, poi  ricoverato all’Ospedale Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino (Cottolengo), sino alla morte, sopraggiunta il 23/5/1960.


Maria offre tutto per la salvezza delle anime

Maria, non ha ancora compiuto 18 anni, ma sa già come in quale modo vivere la sua vita:

"La preghiera che facevo sempre a Gesù era questa: che mi facesse divenire buona e tutta secondo il suo Cuore divino, che io volevo piacere a Lui solo e a nessun altro; ma facesse in modo che nessuno al mondo venisse a conoscere che io mi facevo buona e che non me ne accorgessi neppure io. Io volevo che lo sapesse solo Gesù, e a tutti gli altri facesse una bella improvvisata in Paradiso".

Maria Credendo e fidandosi di Dio, offre per la salvezza delle anime, la vita ed il lavoro quotidiano a Gesù, offre i comuni doveri della giornata, offre i doveri che le danno più sacrificio, offre la vita comune, e si offre a svolgere i compiti, anche più faticosi e poco graditi, volendo salvare le anime, non perde occasione di offrire a Dio dei sacrifici per l’espiazione degli altrui peccato.

La parola sacrificio, deriva dal latino “sacrificium”, a sua volta composta dalle parole “sacer” e “facere”, ossia "rendere sacro".

Dagli scritti di Maria Tartaglino:

"Quando andavo in lavanderia, procuravo di lavare il meglio possibile, intendendo di lavare le anime dei peccatori nel Sangue di Gesù".

D'inverno, quando l'acqua è gelata e nessuno è disposto a recarsi a lavare, ci va Maria che rompe il ghiaccio con le mani e lava la biancheria.

"Per amore di Gesù e in suffragio delle anime del Purgatorio".

Quando Maria è preposta alle pulizie, si impegna ed è molto meticolosa, lavora il con dedizione passione ed impegno, ma non in modo ciarliero, infatti lavora nel silenzio.

Silenzio

Il silenzio ossia l’assenza di parola, non corrisponde con l’essere scostanti e “musoni”, non corrisponde col non essere di cuore e gentili, per Maria, il silenzio era limitare al minimo le parole, evitando le chiacchiere inutili, così da vivere in modo reale e concreto il “momento presente”, come scrive Maria,il silenzio le consente di pregare e di stare unita al Signore:

"Lungo il giorno, il silenzio era il mio unico conforto: mi sentivo così bene".

"I miei lavori, procuravo di farli proprio per Gesù, Maria e Giuseppe. Io me li tenevo sempre fissi nel mio pensiero e facevo tutto alla loro divina presenza".

Insomma, vive in intimità con Gesù, in un colloquio intenso con Lui. 

"Ho passato degli anni belli, così felici che dirlo non si può. Gesù era tutta la mia gioia".

Maria fa tutto per la salvezza delle anime.

La cosa da non dimenticare è che Maria era una persona comune: concreta, pratica, una persona abituata a lavorare, anch' ella nella sua vita ha commesso qualche errore, come tutte le persone.

In uno scritto di maria ci sono queste parole: "Sono le piccole croci di ogni giorno che bisogna portare, non serve cercare croci straordinarie".

"Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini.
A ciascun giorno basta la sua pena" (MT 6,34).

 


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